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Pubblicato su politicadomani Num 83/84 - Settembre/Ottobre 2008
Radici
Una storia a puntate
Napoli sotto... e sopra - Una città in pietra di tufo
Pietra economica e facilmente reperibile, insieme alla pozzolana e all’acqua necessaria per l’edificazione e per la sopravvivenza, il tufo giallo napoletano domina la città, in superficie e nelle sue profondità
di Ciro La Rosa
Prima puntata
La Napoli della luce e delle tenebre, delle sue edificazioni e del relativo vuoto nel sottosuolo poiché il vuoto sotterraneo è la “memoria” di quello che si vede in superficie. Infatti, i palazzi sono in diretto rapporto con il “sotto” che è stato in sequenza: cisterna per l’acqua, rifugio contro le persecuzioni religiose e politiche, e durante la II guerra mondiale riparo contro la morte che veniva dal cielo.
Il protagonista principale che caratterizza la città di Napoli dalla sua edificazione ed urbanizzazione è la solida e leggera Pietra di Tufo. Il tufo veniva estratto, all’inizio, dalle perforazioni del suolo che erano utilizzate quali vie di comunicazioni fra le case e i canali degli acquedotti. Tali perforazioni divennero poi “cave urbane” per la costruzione degli edifici posti al di sopra degli stessi scavi. Pietra, quindi, economica e facilmente reperibile insieme alla pozzolana e all’acqua necessaria per le edificazioni e per la sopravvivenza.
Il primo scavo di una rete idrica si deve ai Greci che fondarono Palepoli (l’antica Partenope) nel 470 a.C. e poi Neapolis nel 438 a.C.
Nel 1987, in seguito ad un’indagine per uno smottamento nella zona del quartiere di Poggioreale, due speleologi individuarono sotto la chiesa di Santa Maria del Pianto le cave da cui i Greci prelevarono le prime pietre per l’edificazione di Neapolis.
La pietra leggera chiamata tufo giallo napoletano è il risultato delle eruzioni vulcaniche della zona flegrea che si estende per 15 km cubi nel sottosuolo cittadino. Di struttura porosa, di colore grigio o giallo, nell’aspetto ricorda la sua natura vulcanica, è facilmente tagliabile; a parità di volume con altre pietre è molto più leggera e resistente allo schiacciamento; è facile da perforare e da ridurre in blocchi. I primi a sfruttare le sue doti di duttilità furono i Greci che la utilizzarono per costruire le case e scavare centinaia di cunicoli per trasportare e prelevare direttamente dalle case l’acqua; si stima che vi siano circa 100 km di canali nel sottosuolo napoletano. Delle sue caratteristiche morfologiche approfittarono anche i Napoletani, nella metà del XVII secolo. Ma di questo parleremo in seguito.
Man mano che la città si espandeva aumentavano le vasche e i pozzi per pescare l’acqua direttamente dall’ultimo piano o dal cortile. Si calcola che nel centro storico vi siano circa 12.000 pozzi (che dovrebbero essere tutti chiusi). Tutto questo è opera dell’uomo: i “Cavamonti” e i “Pozzari”, che scavavano con un piccone a due punte detto “smarra”, rimasto invariato dai tempi dell’antica Palepoli ed immortalato in un bassorilievo all’ingresso dell’antro della Sibilla Cumana. Tutti erano ancora operanti alla fine del 1800.
Gli antichi fondatori di Palepoli sul monte Echia, alto 56 metri, non solo scavarono le cisterne ma anche le grotte Platamonie (oggi Chiatamone) le cui coste erano allora bagnate dal mare, allo scopo di cavar pietre e realizzare ricoveri per i navigli. La medesima tecnica fu attuata sull’isolotto di Megaride. I profughi dalle persecuzioni da Cuma scavarono anche sull’altura più ad oriente, nel 438 a.C., fondando Neapolis.
La nuova città fu costruita con criteri ippodamei, dall’architetto Ippodamo da Mileto vissuto nel V secolo a.C., al quale vanno attribuite le regole delle costruzioni nell’antichità: la città di Atene, Rodi e l’istmo del Pireo. Strade perpendicolari con Insule (isolati) regolari e squadrate attraversate da tre Cardines (in greco Stenopoi) larghi tre metri in direzione Est-Ovest, e da tre Decumani (in greco Plateiai) larghi sei metri, di cui il centrale largo dodici metri in direzione Nord-Sud. La zona è ricca di cavità e reperti archeologici che vanno dall’acquedotto greco ai Tribunali, al vico Zuroli, al complesso di S. Lorenzo Maggiore, fin a S. Nicola a Nilo. Venne poi ampliata con l’arrivo dei Romani nel 326 a.C. , la sua planimetria si è mantenuta intatta sino ad oggi grazie all’espansione in verticale dovuta alle caratteristiche del materiale da costruzione, la pietra di tufo. L’antico acquedotto fu la strada attraverso la quale sia i Bizantini nel ‘600 che gli Aragonesi, novecento anni dopo, entrarono in città, da un canale sotto porta Santa Sofia nei pressi della chiesa di S. Giovanni a Carbonara.
Tutto il complesso sotterraneo delle cavità realizzate dai Romani fu per molti secoli, specialmente nel Medioevo, considerato come opera magica del poeta Virgilio, ed in particolare la Crypta Neapolitana, galleria che collegava Napoli con la zona Flegrea.
L’acqua raggiungeva l’odierna piazza dei Martiri, zona poi interrata durante il periodo aragonese e nel successivo periodo del Vicereame Spagnolo per ampliare il porto e costruire abitazioni, essendo più facile urbanizzare la costa che spingersi sull’irta collina alle spalle ... (continua)
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